Traduzione e Interpretazione

La mediazione

Dopo un anno di literature review sull’ interpreting (community o public service o dialogue etc.) mi sono avvicinata alla letteratura sulla mediazione (linguistica, culturale, interculturale, linguistico-culturale etc.).

Nonostante una comune difficoltà a darsi un appellativo condiviso, questi due ambiti sembrano, nella letteratura e nella pratica, difficilmente conciliabili.

Laddove il primo potrebbe essere sommariamente riassunto come segue: l’interpretazione è una pratica professionale che non ha nulla a che vedere con la mediazione (il che implica la sua superiorità rispetto alla mediazione).

Il secondo è ben espresso dall’affermazione secondo cui la mediazione non è una pura e semplice interpretazione (il che implica la sua superiorità rispetto all’interpretazione).

Singolare è il fatto che, pur essendo accomunati da immagini più o meno felici quali quella del ponte, del tramite, del facilitatore, della persona di frontiera e chi più ne ha più ne metta, interpreti e mediatori che di abbattimento delle barriere si occupano, sembrano voler erigere un muro sempre più alto tra di loro.

Libri come l’Atlante della mediazione linguistico-culturale di Lorenzo Luatti o come Mediazione culturale a cura di Anna Belpiede non fanno altro, a parer mio, che esacerbare questa dicotomia.

Mentre testi come La mediazione linguistico-culturale: una prospettiva interazionista a cura di Laura Gavioli o come Capirsi diversi di Graziella Favaro e Manuela Fumagalli hanno il merito, pur essendo radicati nel mondo dell’interpreting il primo e della mediazione il secondo, di aprire una strada di dialogo e di reciprocità.

E la reciprocità è, nelle parole della Favaro,

“un concetto e un obiettivo fondamentale, dal momento che il dispositivo [della mediazione] si origina e si diffonde proprio per rendere più autentica e “alla pari” una relazione che altrimenti rischierebbe di bloccarsi nell’asimmetria, nell’imposizione, nell’incomunicabilità di messaggi e significati”
(2004: 193).

Se è vero, come dice Maalouf, che “la saggezza è una linea di cresta, lo stretto sentiero tra due precipizi, fra due concezioni estreme” (1999: 48), allora il mio progetto di dottorato sulla mediazione linguistico-culturale si colloca proprio in questo entre-deux, nello spazio e nel tempo di dialogo tra due istanze che, anche se lo dimenticano, hanno molto in comune.

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