Traduzione e Interpretazione

Jacques Brel e il suo Plat Pays

Jacques Brel era “vago”, nel senso leopardiano del termine. Le sue parole alludono, evocano, veicolano molteplici significati e nell’insieme non hanno la pretesa di offrire una lettura univoca. Non cercano una spiegazione a misura umana degli aspetti più misteriosi dell’esistenza, ma rintracciano il vago movimento di un sentire personale.

“Avec la mer du Nord pour dernier terrain vague
Et des vagues de dunes pour arrêter les vagues
Et de vagues rochers que les marées dépassent…”[1]

Giocando con la ripetizione e l’omonimia Brel ci parla del suo plat pays, di quello che vede attraverso il filtro dei suoi occhi e, per dirla con Kant, delle sue forme a priori. Ripetere, ritrovare il già noto è fonte di piacere e di sicurezza, soprattutto quando si è lontani. Per questo oltre che del ritornello, struttura iterativa per eccellenza, Brel si serve di numerose anafore che cesellano le strofe e quindi garantiscono continuità.

“Avec un ciel si bas…
Avec un ciel si bas…
Avec un ciel si gris…
Avec un ciel si gris…”

Non vorrei sembrare blasfema, ma queste ripetizioni creano lo stesso ritmo di un rosario. In fondo Brel rivoge la sua preghiera pagana al paese in cui è nato e cresciuto, in cui però si annoiava a tal punto da desiderare di andarsene.

“Quand maintenant, je cherche la raison profonde de ce départ, je crois que je m’ennuyais à hurler”[2]

Si annoiava da morire, aveva una voglia incredibile di inseguire i suoi sogni, i suoi desideri. Per cui, dopo essersi piegato temporaneamente alla volontà del padre, che lo voleva a capo dell’impresa famigliare, Brel ha mollato tutto alla ricerca del suo Far West.

La gente muore di desiderio – era solito ripetere – ne muore perché non ha il coraggio di fare ciò che vuole e rimane imprigionata in falsi obblighi, in falsi pretesti, in false sicurezze. Brel invece odiava la sicurezza, odiava la tipica comodità borghese, il porto sicuro. Anelava al mare, come George Gray nell’Antologia di Spoon River, e mise sé “per l’alto mare aperto”.

Quale l’Ulisse dantesco partì col suo legno, non una barca ma una chitarra, alla volta della Ville Lumière. Ed arrivando nell’ignoto riscoprì la bellezza della sua Itaca, di quella Bruxelles che per tanto tempo era stata solo un “tramway” e l’odore della pioggia. E così, vista da lontano, la capitale belga è tornata a sognare, a cantare…

“C’était au temps où Bruxelles rêvait
C’était au temps du cinéma muet
C’était au temps où Bruxelles chantait
C’était au temps où Bruxelles bruxellait…”[3]

Pur tra le pareti sicure della ripetizione, Brel introduce elementi nuovi che restituiscono la frizzante vita di una città che “bruxellava”. Ogni dettaglio è animato di una vita propria e si muove tra sogno e realtà. Agli elementi reali si mescolano nomi inventati (place Sainte-Justine) per salvare una rima o magari per ricreare un’atmosfera particolare o ancora per trasferire sulla carta il pensiero del cantautore. Nella sua mente, infatti, si mescolano strati di ricordi, fantasie ed esperienze che si sono sedimentati col tempo, tanto che è impossibile distinguere tra verità e finzione. Di sicuro però il paesaggio non è solo sfondo, scenografia. La descrizione non è mai fine a se stessa, non significa qualcosa, ma è qualcosa. E Brel stesso è nelle sue canzoni aldilà di ciò di cui sta parlando. C’è in quelle cattedrali, in quei campanili neri, in quel vento del nord che lo ha spinto lontano…

“Avec des cathédrales pour uniques montagnes
Et des noirs clochers comme mâts de cocagne
Où des diables en pierre décrochent les nuages
Avec le fil des jours pour unique voyage…”[4]

Paradossalmente, Brel può cantare tutto questo nel momento in cui lo ha perso, lo può vedere quando non ne fa più parte, lo può sentire quando è assente. Solo la lontananza può sollevare il velo di Maya, solo il viaggio vero può illuminare retrospettivamente quello che non era che “il filo dei giorni”.

Questo discorso travalica i confini del paese natale e quindi di questo post. Brel adotterà, infatti, lo stesso tipo di sguardo e di prospettiva anche nel suo rapporto con l’infanzia e con le diverse sfaccettature del suo Io, che saranno ugualmente proiettate nelle parole e nei personaggi delle sue canzoni. Gli strumenti di analisi qui presentati verranno pertanto riutilizzati e via via applicati ai nuovi post a venire.

[1] Le plat pays
[2] Parole di Jacques Brel tratte da Jacques Brel, le droit de rêver, p.33
[3] Bruxelles
[4] Le plat pays

AAVV, Jacques Brel, le droit de rêver, Bruxelles, Fondation Internationale Jacques Brel, 2003

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