Traduzione e Interpretazione

EUROSLA 2010: Language learning roundtable

Dopo mesi di silenzio e/o post di dubbio interesse per interpreti, traduttori, insegnanti e studenti che mi leggono (eccezion fatta, forse, per il CAVEAT a non rivelare la vostra professione in vacanza), torno a pubblicare qualcosa di interessante per la categoria (in fondo siamo tutti una grande famiglia accomunata dall’amore per una o più L2 ;)

Ieri sono stata a Reggio Emilia, ad una tavola rotonda sul language learning moderata da Gabriele Pallotti in cui si sono avvicendati quattro relatori del calibro di (1) Johannes Wagner, (2) Paul Seedhouse, (3) Roy Lyster e (4) Alison Mackey.

Come spesso succede ai convegni, le mie aspettative sono state scardinate, nel senso che mi sono fatta il viaggio a Reggio essenzialmente per Seedhouse, che ho sopravvalutato a discapito di altri nomi che mi hanno invece favorevolmente colpita, Roy Lyster in primis.

Vado con ordine, precisando che quanto segue è principalmente rivolto a chi insegna (interpretazione, traduzione o una L2), e anticipando che questo piccolo assaggio di EUROSLA 20 mi ha fornito moltissimi stimoli, principalmente sotto forma di riferimenti bibliografici che ho tutte le intenzioni di condividere. Lo stesso si è verificato alla CL6 di Birmingham, ma in quel caso la bibliografia raccolta è talmente ampia che ancora non ho deciso da dove cominciare. E temo che la vedrete comparire piano piano alla pagina references, mano a mano che snocciolerò i volumi che mi possono servire per il mio progetto di dottorato o per gli insegnamenti che mi vengono affidati.

(1)    Wagner ha presentato una relazione dal titolo “Language learning in the wild”, dove “wild” starebbe per il mondo di tutti i gioni vs il laboratorio linguistico e/o la classe. Ha presentato le sue posizioni facendosi, come è comprensibile, un po’ di pubblicità, e dandomi voglia di leggere Wagner (2010) “Learning and doing learning in interaction…” In Yuriko & Ikeda (eds.) e Brower & Wagner (2004) “Developmental issues in second language conversations” nel Journal of Applied Linguistics 1. Ha sottolineato, citando Koschmann & Zemel 2009, come il learning sia a) ubicuitus and pervasive; b) an observable social activity (per la quale la CA può fornire una lente adeguata); c) an interactional achievement; d) something recognizable for co-participants; e) something coming out of new challenges; f) something involving a display of understanding. E precisato come il learning equivalga ad un cambiamento nella competenza interazionale. Le ultime parole sono state spese per sottolineare come sia necessario avere più dati IN classe e più dati FUORI dalla classe (i cosiddetti “wild”, per l’appunto) al fine di fare generalizzazioni utili. In altre parole: LET’S SHARE!

(2)    Seedhouse, per cui, lo ripeto, mi sono fatta 2h20 di treno all’andata e altrettante al ritorno, è stato un po’ una delusione. Nel senso che la prima parte del suo discorso è stata volta alla dimostrazione di come l’approccio multimodale ai dati, quello cioè che include anche il video, sia l’unico in grado di fornire certe risposte in alcuni casi di task-based interactions (laddove l’audio e la trascrizione non bastano a rendere conto di casi di minimalization e indexicality che sono frequenti nelle interazioni di questo tipo). Gli esempi erano interessanti, e Transana lo ha assistito nel tentativo di presentarli e spiegarli. Ma troppo poco contesto era fornito per gustarli appieno, e soprattutto per convincermi che la trascrizione e l’audio da soli non sarebbero arrivati a delle conclusioni che, questo lo ammetto, è forse più immediato raggiungere avendo il video a disposizione. La seconda parte del discorso è stata una spudorata attività promozionale: la presentazione, capitolo per capitolo e autore per autore, del libro “Conceptualising “learning” in Applied Linguistics” di cui è l’editore insieme a Walsh e Jenks. Come si dice dalle mie parti: una gran scesa di catena!

(3)    Roy Lyster è stata invece la piacevole sorpresa del pomeriggio, con una presentazione intitolata “Variable effects of interactional feedback as instructional input”. Dal titolo magari non si coglie la portata del suo discorso, ma fidatevi se vi dico che è stata una riflessione utilissima per me che mi sto imbarcando in un altro semestre di lezioni all’università di Modena e che, come voi del resto, ho bisogno di essere consapevole del tipo di corrective feedback che adotto con i miei studenti e degli effetti che questo produce su di loro. Mi spiego meglio, come ricordava Lyster in un’utile panoramica introduttiva che ha avuto l’accortezza di stampare per tutti i presenti, esistono diversi tipi di feedback che un insegnante può dare allo studente che commetta un errore: a) RECASTS = una riformulazione da parte dell’insegnante di tutta o di parte della frase pronunciata dallo studente, ma senza l’errore da questi commesso; b) EXPLICIT CORRECTIONS = ogni qualvolta l’insegnante fornisce la forma corretta esplicitando che quella adottata dallo studente era sbagliata; c) PROMPTS = segnali che spingono lo studente ad autocorreggersi, di cui ELICITATIONS, METALINGUISTIC CLUES, CLARIFICATION REQUESTS e REPETITION OF ERROR. Mentre già Lyster era passato alla slide successiva a questa enumerazione, io mi sono persa nei miei pensieri, chiedendomi quale/i di queste stretegie io adotti e in che misura (un motivo in più per riascoltare le registrazioni delle mie lezioni del semestre passato e per registrare anche quelle dell’anno venturo ;)   )Quando mi sono per così dire riconnessa sul suo discorso lui era arrivato a dire che statisticamente gli insegnanti sembrano prediligere i RECASTS ma che bisognerebbe stimolarli ad alternare questa strategia con le altre, soprattutto con i PROMPTS. Laddove, infatti, la riformulazione senza errore dell’insegnante (RECAST) ha il vantaggio di dare agli studenti un esempio positivo insieme all’opportunità di inferire un esempio negativo (quello da loro prodotto), lo stimolo all’autocorrezione (PROMPT) parte dall’esempio negativo fornito dallo studente e gli richiede di produrre un output modificato. In ragione di questo coinvolgimento attivo nella correzione, lo studente trarrebbe maggiori vantaggi dal feedback. E, i dati empirici sembrano dimostrare anche questo, il prompt renderebbe lo studente meno dipendente dalla correzione dell’insegnante, stimolandolo ad un processo di apprendimento di cui, questo lo dico io, è il primo responsabile. Lyster mi è piaciuto anche perché ha fornito un esempio pratico (una timeline) di come mostrare che certe ricerche empiriche non sono “quick and dirty”, come alcuni vogliono far credere, ma lunghe e meticolose. E ha avuto anche il merito di parlare di un articolo di Seedhouse del 1997 (The case of the missing “no” etc.), invogliandomi molto di più a leggerlo di quanto non sia riuscito a fare Seedhouse stesso, pur con tutta la sua attività promozionale.

(4)    Alison Mackey ha avuto la sfotuna di parlare per ultima, e di farlo a velocità esagerata e con una densità di informazioni che non contribuiva alla digeribilità del discorso. Risultato: la sua “Interaction research: cognitively oriented and socially informed”, questo il titolo della presentazione, mi è risultata piuttosto indigesta. Ne conservo, ciò nondimeno, una massima e un monito. La massima, che ha occupato almeno 20 secondi della mia attività celebrale affinché io ne comprendessi il senso, è: “the absence of evidence is not the evidence of absence”
– 20, 19, 18, 17, 16, 15, 14, 13, 12, 11, 10, 9, 8, 7, 6, 5, 4, 3, 2, 1, 0: a questo punto dovreste averla digerita ;)
E il monito, con il quale concludo questo post, è che gli studenti potrebbero non riconoscere il target del vostro feedback (i.e. un errore grammaticale). Se usate il Prompt, ad esempio, non date per scontato che lo studente si autocorreggerà, perché potrebbe benissimo non farlo. A quel punto, e forse non solo a quel punto, è importante che l’insegnante sia a conoscenza di tutta la gamma di feedback possibili per adottare consapevolmente quello che più si addice al momento, all’individuo o alla classe in questione.

One Response to “EUROSLA 2010: Language learning roundtable”

  1. -nico- scrive:

    io, nonostante i 20 secondi, non ho capito la massima, ma ho come la sensazione che potrebbe essermi utile…

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