Traduzione e Interpretazione

Print vs onscreen

Chi è già capitato nella sezione Transcription of oral data intuirà forse i motivi per i quali il  seminario “Print or onscreen: better, worse or about the same?” mi ha fortemente attirato. Io che per un anno e più ho testato vari tool di trascrizione dell’orale e che ho infine optato per un software, Exmaralda, che garantisce la possibilità di esportare i dati in vari formati privilegiando delle visualizzazioni diciamo così “alternative” a quelle sviluppatesi per la stampa, ero incusiosita dalla dicotomia stampato vs su schermo e soprattutto dalla domanda che Naomi Baron, della American University, si poneva. Mi aspettavo di assistere ad una presentazione avvincente e chiara e di conoscere l’impatto dello schermo sulla lettura.

E vi dirò che non sono stata delusa. La Baron è infatti un’oratrice esemplare, di quelle che sanno davvero fare e dosare un power point e parlare a braccio, di tanto in tanto, per trasmettere il senso di ricerche che l’hanno appassionata. Con questo titolo provocatorio, e con la mirabile presentazione che ha seguito, La Baron ha stimolato il pubblico “modenese” riunito dalla Prof.ssa Bondi a riflettere non tanto sul come possiamo usare le nuove tecnologie ma sul tipo di persone che stiamo diventando utilizzandole.

Leggere un testo stampato oppure leggerlo su schermo fa una qualche differenza per noi? È meglio, peggio o la stessa cosa? (frase che in inglese, e nella sua controparte italiana, volutamente ammicca al contesto della visita oculistica, quando al soggetto viene chiesto di guardare attraverso tutta una serie di lenti e il medico ripetutamente verifica come si modifichi la sua visione).

Questa è la domanda che la Baron ha posto a se stessa, prima, e agli studenti che hanno partecipato al suo studio pilota, poi. Non lo ha fatto da luddita o da treehugger, per usare le sue stesse parole. In altri termini non si è posta nella condizione di chi si oppone all’innovazione e difende tenacemente lo status quo. Lo ha fatto con l’obiettivo di invitare se stessa, e gli altri, a riflettere su ciò che c’è di buono e di meno buono nelle tecnologie e in ciò che siamo quando ne facciamo uso, per non subirle passivamente, ma per operare scelte consapevoli.

Tra le componenti di una presentazione davvero ben fatta, c’è la provocazione iniziale. A mezzo di immagini (Gutemberg vs Steve Jobs) e di citazioni da autori di cui solo poi ci ha dato i riferimenti.

La Baron ci ha prima stimolati con affermazioni come:
-    diventiamo persone che interrompono una situazione di comunicazione reale, come un pranzo in famiglia, per rispondere al telefono;
-    internet ci sta cambiando: l’online è sempre più parte dell’offline;
-    siamo sempre meno capaci di concentrarci, di fare bene una cosa alla volta;
-    i deficit d’attenzione acquisiti sono in crescita

E poi mentre introduceva i contenuti del suo discorso, ha proiettato una slide con, tra gli altri, i seguenti riferimenti bibliografici, lasciandoci tutto il tempo necessario per prenderne nota.

ABAJAOUDE (2011) Virtually you: the dangers of the e-personality
RHEINGOLD (1999) Look who’s talking
TURKLE (2011) Alone together. Why we expect more from technology and less from each other

Semplicemente efficace.

La Baron ha quindi presentato l’ossatura del suo discorso, delle sue slide, ed è poi entrata nel merito. Così che fossimo tutti consapevoli di dove voleva andare a parare e di quando sarebbe giunta alle conclusioni.

Condivido le tappe salienti della sua presentazione, rimandandovi alle sue pubblicazioni per eventuali approfondimenti.

Va ricordato, anzitutto, che la scrittura ha una lunga storia e che è apparsa, nel tempo, su diversi supporti (tavolette, papiri etc.) e che questi supporti possono influenzare la fatica che facciamo a leggere e a ricordare quello che leggiamo.

Quella che la Baron ha definito Print culture, la cultura della stampa, ha 4 tipi di presupposti che sono ad oggi messi in crisi da altrettanti fattori.

1) Durabilità di un testo (lo si può rileggere e vi si possono annotare cose, i cosiddetti marginalia) – il che è messo in crisi, ad oggi, dalle tirature economiche e dalle stampe dal computer;
2) Condizioni di lettura (silenziosa, individuale, biblioteche, attenzione sull’atto della lettura) – il che è messo in crisi dall’imperante multitasking;
3) Valore dei libri e della loro lettura (edizioni attente, avere qualcosa di originale da dire, valore estetico ed economico, vasta alfabetizzazione tra gli obiettivi) – il che è messo in crisi dalla lettura sempre più rapida, dal fatto che le biblioteche rimuovono libri e riviste, dal fatto che si modifica il concetto di copyright e di verità: sembra infatti che ora sia vero quel che viene dalle viscere, quello che ha il valore dell’esperienza, anche se non è necessariamente oggettivo – quello che la Baron ha definito “truthiness”
4) Tool di navigazione (indici, sommari, sezioni, numeri di pagina che vanno di pari passo  con nuovi strumenti motivati da una conoscenza in espansione -  si pensi ai dizionari o ai riferimenti bibliografici) – il che è messo in crisi, o se non altro in discussione, dall’apoteosi del “random access” e dal declino dei numeri di pagina. La Baron sottolineava come i suoi studenti non mettano mai i numeri di pagina, anche su esplicita richiesta. Perché se hanno bisogno di localizzare qualcosa nel testo fanno una ricerca per termine e il numero di pagina non è per loro un localizzatore altrettanto efficace.

Lo studio pilota della Baron è consistito proprio nel testare questi presupposti della stampa e i challenge, cioè quegli elementi che li mettono in discussione, quando non addirittura in crisi, a mezzo di un questionario online a cui hanno risposto 82 studenti undergraduate tra i 18 e i 24 anni. Due altre dimensioni sono state però aggiunte al questionario:

-   dimensione cognitiva (su quale supporto gli studenti apprendono di più?)
-   risorse (in termini ambientali ed economici)

Vi passo i dettagli che la Baron stessa ha peraltro sorvolato e condivido i risultati a mio avviso più sconvolgenti:

-    il 61%  degli studenti rivende i libri dopo il semestre;
-    il 51% li “affitta” pagandoli la metà;
-    il 48% sottolinea, evidenzia o prende appunti OCCASIONALMENTE o MAI!!!!! (per una che scrive a margine anche dei romanzi è sconvolgente!!);
-    la stessa percentuale, e forse non a caso, non rilegge i libri. In fondo se si sottolinea è per rileggere o studiare. Se non lo si fa, rileggere equivale a rileggere TUTTO, quindi meglio rinunciare.

Volendo riassumere le conclusioni dello studio:

La versione stampata è preferibile per scopi cognitivi (perché si trattiene di più) e per motivi estetici (la fisicità del libro da sfogliare è tanto importante che Steve Jobs, nella sua tavoletta, ha pensato bene di riprodurre il gesto del girare la pagina). Ma leggere la versione stampata si accompagna con un senso di colpa per l’ambiente e per lo spreco di carta.
La versione su schermo ha un più facile accesso ed è più ecologica ma permette una memorizzazione ed interiorizzazione minore. Quindi se si vuole studiare sul serio non si può evitare di contribuire all’abbattimento delle foreste, detta brutalmente.

Non so che cosa ve ne farete di queste considerazioni. Io, per me, come diceva Montale, sono d’accordo con la Baron quando dice che il futuro del mondo scritto è digitale. Per motivi di convenienza, per la pressione commerciale, per un fattore democratico che garantisce a tutti l’accesso alle risorse. Ma pur ammettendo che le cose stanno andando in questa direzione, dovremmo fare lo sforzo di non dare per scontato che le nuove tecnologie siano necessariamente migliori, o che ci rendano tali.

In realtà, se penso al tempo che le mail mi portano via ogni giorno e al fatto che ormai, se non si risponde subito, si passa dalla parte del torto. Se penso alle tante volte in cui ho interrotto una bella cenetta con mio marito per rispondere ad una chiamata al cellulare. Se penso alla vista, che mi è calata tantissimo negli ultimi due anni, e alle emicranie che mi vengono davanti al pc. Se penso alle serate in cui, stanca dal lavoro, mi sono abbandonata passivamente alla tv anziché andare a fare una passeggiata, anziché fare un gioco di società o fare sport. Se penso alla voglia che ho, talvolta, di prendere in mano un libro di quelli seri, tipo un meridiano Mondadori, di sentirne il profumo, di leggerlo piano, di scorrere pagine senza refusi o errori. In questi e in altri casi non sono poi così sicura che quel che abbiamo ora sia meglio.

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