Traduzione e Interpretazione

Sul fare ricerca

Come tutti sono piena di difetti, sia sul fronte professionale che su quello accademico. Questo nuovo anno parte con il buon proposito di fare qualcosa per rimediarvi.

Iniziamo dalla mia vita accademica, poiché è quella a cui per il momento sto dedicando più tempo. Tante sono le critiche che mi sono state mosse dai miei maestri in questi anni. Se le elencassi tutte annoierei voi e deprimerei me stessa, quindi mi limiterò a quelle che si aggiudicano i primi posti:

1.    Non sono abbastanza critica rispetto a quello che leggo. In altri termini tendo a pensare che dal momento in cui un certo lavoro è stato pubblicato chi scrive ha l’autorità e le competenze per dire quel che dice.

2.    Tendo ad usare sinonimi per il gusto di una bella scrittura e quindi a perdere di precisione e rigore scientifico. In sostanza faccio quel che mi si diceva di fare nei temi alla scuola dell’obbligo dimenticando che per me è finita da un pezzo e che aggettivi come “significativo” hanno un certo peso, soprattutto quando si fanno indagini quantitative.

3.    Mi piace etichettare i concetti ma non rifletto abbastanza sulle implicazioni del concetto e dell’etichetta che gli affibbio. Ad esempio definisco un’interpretazione dialogica “ideale” perché così la chiama Wadensjö (cf. il punto 1) e perché mi piace questo aggettivo di filosofica memoria (cf. Weber), ma non mi rendo conto che potrebbe essere (fra)inteso come “quel tipo di interpretazione a cui tutti aspirano, ossia quella perfetta” proprio nel momento in cui io sto cercando di dimostrare il contrario.

In realtà, la letteratura scientifica è piena di fesserie, usare sempre lo stesso termine per riferirsi allo stesso concetto non è ripetizione ma è indice di scientificità e i concetti hanno bisogno di buone definizioni più che di belle etichette.

Appurato questo, ho deciso di rimettere mano alla tesi di dottorato con cognizione di causa e ho fatto due letture che avrei tanto voluto aver fatto prima. Le condivido nella speranza di evitare ad alcuni di voi un po’ di strigliate e di riscritture, pur consapevole che forse proprio quelle sono state la mia migliore “scuola”.

Premetto che entrambe le letture sono attinenti all’ambito di ricerca di cui mi occupo adesso, ma che ciò nondimeno sono utili anche per chi faccia ricerca in altri settori disciplinari.

Mackey, S. (2006) Researching second language classrooms. Mahwah/London: Lawrence Erlbaum Associates.

Porte, G.K. (2002) Appraising research in second language learning. A practical approach to critical analysis of quantitative research. Amsterdam/Philadelphia: John Benjamins.

Entrambi i volumi si basano sull’assunto che vi sia un tacito scambio di opinioni tra l’autore e il lettore, che silenziosamente reagisce a ciò che gli viene proposto (non so voi, ma io reagisco con tutta una serie di simboli e sottolineature che annoto ai margini della pagina e che mio marito di tanto in tanto mi chiede di decifrare o di “prendere a prestito”). Si compongono quindi di parti più teoriche, dove il lettore viene iniziato a tutta una serie di concetti che sono rilevanti per i diversi tipi di ricerca che si possono fare nel campo dell’apprendimento linguistico, e di parti più pratiche, dove il lettore viene invitato/guidato a reagire a diverse tipologie di articolo e/o di sezione di articolo.

Ammetto che non sono riuscita a comprendere tutti i concetti spiegati (mi sono persa, ad esempio, quando entrambi i volumi si addentravano in varie tipologie di indagini statistiche) e che sicuramente dovrò tornare su alcune parti in futuro, aiutandomi magari con l’utilissimo glossario di Porte (2002). Ma sono certa di aver capito come leggere in maniera più critica, tenendo conto che:

“We will need to be able to identify the strengths and weaknesses of an argument in order to appraise its significance. We will need to establish which elements of the argument proposed are useful and which might need to be discarded or re-phrased. By so doing, we are performing a useful service both to the author and the field and will perhaps be able to re-formulate what has been proposed to produce a new slant on the topic and, thereby, point the direction to new research in the area” (Porte 2002: 147).

Come nell’interazione faccia a faccia, essere critici non significa mancare di rispetto all’altro, ma esprimere giudizi costruttivi, che aiutino a crescere. Nella lettura silenziosa a crescere è quasi esclusivamente il lettore, attraverso le critiche che muove, ma non sono da escludersi casi in cui le reazioni alla lettura si facciano “pubbliche”, come durante la presentazione di un libro da parte dell’autore o anche solo nel commento ad un post. In questi casi la scrittura diventa parte e motivo di dialogo tra due o più persone, diventa conversazione che fa crescere tutti gli interlocutori.

PS Se vi serve una lettura con cui “conversare” vi consiglio l’ultimo numero della rivista RIMe, e in particolare il Dossier a cura di Nataša Raschi e Antonella Emina, che non può non suscitare reazioni e che è gratuitamente scaricabile alla pagina http://rime.to.cnr.it/2012/index.php?option=com_content&view=article&id=73&Itemid=69&lang=it

One Response to “Sul fare ricerca”

  1. Mi inchino davanti alla persona che conduce la pagina. Grandi contenuti.

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