Traduzione e Interpretazione

Lezioni 6 marzo: Coliva-Guardiano

Plagiata

Il libro di Claudia V.

Lezioni del 6 marzo 2009:

10.15-12.15: Prof.ssa Annalisa Coliva, Filosofia e scienze umane. Prospettive diverse a confronto.
14.30-16.15: Dott.ssa Cristina Guardiano, Lingue, storie, geni, popoli: la linguistica come strumento per lo studio della scienza umana.

Come la settimana scorsa approfitto del viaggio di ritorno in treno per fare un resoconto delle lezioni di oggi.

Ammetto, anche questa volta, di avere di meglio da fare. Ieri ho infatti iniziato il libro di Claudia V. “Plagiata” e non vedo l’ora di rituffarmi nel vissuto denso, e vero, di una donna plagiata da un mago che si è insinuato nelle sue debolezze e che ha distrutto la sua giovinezza. Se vi interessa conoscere la donna che ha avuto il coraggio di raccontare quanto le è successo, questo pomeriggio c’è la presentazione del libro a Savignano sul Rubicone.

Ma per senso del dovere verso me stessa prima, verso gli assenti, poi (la SSLMIT, in questo, mia ha “plagiata” per bene), vi racconto le due straordinarie lezioni di oggi.

Lo faccio mettendo subito le mani avanti, e confessandovi che non credo di essere in grado di “riassumere” quanto ci è stato proposto.

Tenterò, semmai, di restituirvi il senso delle due lezioni, invitandovi a leggere i testi suggeriti per maggiori dettagli.

Cominciamo in ordine cronologico con la lezione della Prof.ssa Coliva. Filosofa del linguaggio di matrice analitica, la Coliva ha innanzitutto cercato di spiegarci il nesso tra filosofia analitica e filosofia del linguaggio.

Il linguaggio – ha detto la Coliva – ci serve per esprimere i nostri pensieri e come tale può essere oggetto d’indagine per vedere come le teorie sono costruite. Il nesso tra lingua e filosofia è tuttavia difficile in virtù 1) del fatto che le lingue naturali sono piene di metafore; 2) del fatto che le lingue sono vaghe; 3) del fatto che la copula (è) può svolgere diverse funzioni.

Conseguenza di queste 3 caratteristiche è che il linguaggio può “travestire i pensieri” e la filosofia deve, in questo senso, prendere le distanze dal linguaggio e da alcune delle sue strutture.

Devo ammettere che a questo punto della lezione avevo come l’impressione che la Coliva ci stesse dando, giustamente forse, la SUA interpretazione di certi fenomeni. Del resto – come lei stessa ci ha detto – la Coliva FA FILOSOFIA non STORIA della filosofia. E devo dire che nonostante i 3 anni di filosofia al liceo, sentivo di non avere gli strumenti per ascoltare criticamente quello che sentivo. Il che mi faceva, e mi fa tuttora, temere che un percorso didattico come quello del dottorato in scienze umane rischia non solo di farci assaggiare un po’ di tutto senza profondità, ma di darci anche una visione personale e parziale di questi assaggi. Food for thought.

Mentre ero assorta nei miei pensieri, la Coliva ha cominciato a parlare delle metafore vive e morte, catturando di nuovo la mia attenzione. Si è riflettuto, a causa di una mia domanda, sul ruolo del traduttore nella resa di metafore non codificate, quelle per le quali, secondo alcuni filosofi del linguaggio, bisognerebbe fare una traduzione letterale, lasciando che il lettore straniero attivi liberamente i suoi nessi causali, associando ad un’immagine le metafore che crede.

Il libro della Coliva

Discutibile, direi. Se solo si pensa che, traducendo letteralmente, si rischia in realtà di non produrre affatto gli stessi nessi causali attivati nella lingua di partenza. Per il semplice motivo per cui, ad esempio, il giallo in italiano evoca, oltre al colore, anche un tipo di testo, mentre yellow no [riflessioni mie].

Nell’interpretazione di questi fenomeni (giallo-yellow) risultano più convincenti i relativisti. Ma per non rischiare di banalizzare il relativismo che ci è stato spiegato riducendolo alla “grande varietà delle opinioni umane” che secondo alcuni rappresenterebbe, vi invito a leggere “I modi del relativismo” della Coliva edito da Laterza.

Mi limito a dire, a quanti non c’erano, che in questa lezione la Coliva ha introdotto il relativismo e le sue condizioni principali:
a) sistemi chiusi;
b) determinano il modo di categorizzare (e valutare) l’esperienza;
c) lo fanno in maniera da essere incommensurabili gli uni con gli altri;
d) ogni sistema è valido quanto qualunque altro.

Lo ha contrapposto all’assolutismo fornendo esempi tratti dall’escatologia cattolica secondo la quale il bene sarebbe un valore esterno a noi (di qui l’importanza di Gesù che ce lo comunica), laddove il relativismo afferma che il bene è una costruzione dell’uomo.

Apro una parentesi per dirvi che non potete immaginare in quali condizioni sto scrivendo questo post. Il treno è pieno zeppo, il portatile obliquo sulla mia borsa, che è sul mio giubbotto, che è sulle mie gambe. Ho in pratica la tastiera ad altezza del collo, quindi passatemi eventuali refusi, please.

Tornando alla Coliva, sinceramente non so che lezione ne hanno tratto gli altri dottorandi presenti. Per quanto mi riguarda, mi è servita a farmi un’idea più chiara del relativismo e a capire, con rinnovato vigore, quanto sia importante essere vigili sul fondamento teorico delle proprie ricerche.

Mi è servito altresì per capire meglio il rapporto con mio padre. Uno in cui, troppo spesso, l’assolutismo di certi valori cattolici e il progetto divino su cui riposano si è scontrato con il relativismo di un’adolescente che voleva essere arbiter fortunae suae. Un’adolescente, oggi donna, che pensava, relativisticamente possiamo dire alla luce di quanto appreso oggi, che il bene, il bello, il giusto non sono già dati, ma il frutto della natura umana e del soggetto che li sente e vede.

Un’adolescente che per anni ha ripetuto al padre che non necessariamente quello che era giusto per lui era giusto per me. Oggi ho scoperto che alla base del giudizio di mio padre c’è la prassi del doppio standard: è legittimo valutare prassi della propria cultura perché lo si fa sulla base di valori condivisi, ma non si possono giudicare prassi che sono fuori dalla propria cultura. Probabilmente il nostro problema, ora risolto, è che non apparteniamo alla stessa “cultura”, e che quell’assolutismo cattolico secondo il quale lui giudicava anche me in realtà non mi corrisponde.

Ma questa sono IO.

Tornando a quanto interessa VOI, la prossima lezione della Coliva verterà sul relativismo in psicologia e sulle ragioni per cui il rapporto filosofia-psicologia sia così complesso. Se decidete di non venire (a vostro rischio e pericolo) mandate una mail, perché oggi la prof ha fatto la ramanzina.

Ora viene il bello (per me almeno).

Ma qui, davvero, devo ammettere la mia incapacità di fornirvi un riassunto che sia degno di questo nome. Troppa la densità della lezione della Dott.ssa Guardiano, troppo alto il rischio di fraintendere o di non rendere giustizia ad un programma di ricerca che si propone di vedere come le scienze umane possono contribuire alla conoscenza dell’uomo e come, in particolare, la lingua possa essere uno strumento di studio della storia umana.

Cristina Guardiano

Figli della New Synthesis originatasi all’università di Cambridge, la Guardiano che si è dottorata a Pisa e il professor Giuseppe Longobardi che insegna all’Università di Trieste stanno cercando di risolvere i limiti del metodo comparativo classico e di ottenere nella linguistica lo stesso breakthrough verificatosi nella biologia.

Così come, in biologia, i metodi comparatisti si sono concentrati prima sui caratteri esterni (come la forma della testa o il colore della pelle) e poi, dopo la scoperta dei geni, hanno cominciato a studiare caratteri astratti, universali, finiti e discreti che si esprimono in caratteri esterni molto più numerosi, la linguistica che in passato ha studiato caratteri esterni (come le parole) un domani potrebbe, in realtà loro lo stanno già facendo, studiare caratteri altrettanto astratti, universali, finiti e discreti che sono i parametri sintattici (lo scheletro invisibile delle lingue che fa sì che, pur ammettendo uno stesso lessico, due lingue come italiano e inglese non saranno mai uguali).

Così come la genetica ha mappato il genoma umano contribuendo allo sviluppo della biologia comparatista, la linguistica formale che mappa il DNA linguistico dei parlanti può contribuire allo sviluppo della linguistica comparatista. Per dirla con Augusto Carli, che ha partecipato alla lezione e l’ha arricchita dei suoi interventi, trattasi di un forte connubio tra Watson-Crick e Chomsky .

Dopo averci affascinati, e convinti, della validità di questa ipotesi, la Guardiano ci ha esposto le metodologie del suo programma. Alberi, tabelle, grafici e calcoli matematici hanno provato il rigore di una ricerca che, pur con tutti i limiti del caso, ha già dimostrato come la sintassi possa riuscire a superare i confini, soprattutto cronologici, del lessico, risalendo più indietro nella storia dell’uomo e delle lingue che ne sono l’espressione.

Vi rimando, ad ogni modo, all’articolo che potrete presto trovare sulla rivista Lingua per maggiori, e più precise, informazioni.

Evidence for Syntax as a signal of historical relatedness” di Longobardi, Guardiano

E mi scuso con la Guardiano per l’imprecisione con cui ho probabilmente riferito il progetto, sperando comunque di avervi trasmesso l’interesse che ha suscitato in me e negli altri presenti.

Alla prossima!

PS Se qualcuno, dei presenti, ha ulteriori informazioni da condividere, non esiti a commentare il post e a fornire agli assenti un’altra voce in capitolo. In fondo, proprio oggi, abbiamo visto come tutto è relativo. E la mia “lettura” non lo è meno di tutto il resto.

Leave a Reply