Traduzione e Interpretazione

La médiation et la didactique des langues et des cultures a cura di Danielle Lévy et Geneviève Zarate

N°363 - Mai-juin 2009

Si la médiation fait partie d’une logique de l’entre-deux, elle ne peut être confondue avec celle du « juste milieu ». A l’opposé d’une position idéalisée où être à mi-chemin entre les deux parties signifie neutralité, sorte de no man’s land de la pensée, le médiateur occupe une position spécifique, celle d’un acteur dûment mandaté pour la résolution d’un conflit dont les protagonistes n’ont plus la maîtrise. Sa position doit évoluer vers celle d’un tiers, garant d’un espace de communication effectif, lien parfois ténu, masi lien tout de même, par où peut transiter un échange, même minimum. Si l’on admet que plus la situation est conflictuelle, plus les compétences du médiateur sont sollicitées et tendent à être développées, un conflit aigu est une source informative importante pour décrire les activités de médiation. (p. 175)

Ho iniziato questo numero speciale della rivista “Le Français dans le monde” (NUMERO SPECIAL JANVIER 2003) con la riluttanza di chi, abituato all’asciutto stile anglofono, dubita della scientificità di un ragionare più involuto e meno pragmatico quale quello italiano e francese. Mi sono dovuta ricredere!

Questo volumetto di facile e rapida consultazione è, pur con alcune inevitabili pecche (conclusioni tratte sulla base di 5 interviste a mediatori non sono da me percepite come credibili, ma ammetto di avere una propensione quantitativo-qualitativa), una fucina di spunti di riflessione e frasi da citazione.

Ammetto di non aver letto ogni articolo con pari attenzione, perché ho selezionato a monte i contributi che mi sarebbero tornati utili. Parlo volontariamente di utilità, poiché se dovessi leggere e studiare in base ai miei interessi, mi ci vorrebbe almeno una vita per redigere la mia tesi di dottorato. Un po’ per il lavoro che faccio un po’ per il mio carattere, tutto (eccezion fatta per la chimica, forse) mi interpella e “mi costruisce” in un modo o nell’altro. Quindi urge un’attenta selezione di ciò per cui vale la pena investire il proprio tempo e le proprie forze.

Dopo aver spulciato l’indice, ho deciso di investire entrambi nei seguenti articoli:
Le traducteur est-il un médiateur? Di Antonella Leoncini-Bartoli
Quelle est la perception des « interprètes médiateurs culturels » de leur rôle et de leurs compétences ? di Aline Gohard-Radenkovic
La médiation diplomatique est-elle compatible avec la médiation interculturelle ? di Danielle Londei
Médiation culturelle et linguistique au Centre européen pour les langues vivantes di Hermine Penz
La médiation en situation de tension identitaire di Geneviève Zarate
La médiation dans le champ de la didactique des langues et des cultures di Danielle Lévy e Geneviève Zarate

Vi risparmio le numerose citazioni che ho come al solito diligentemente ricopiato in un documento che mi dovrebbe rendere le cose più semplici e veloci al momento della stesura. Condivido però l’impressione generale che da questo certosino lavoro di ricopiatura deriva.

Anzitutto forte è la sensazione di confusione intorno ad un termine, un’etichetta che, come ricordavo altrove, include tutto e niente: mediazione.

Ai fini della tesi di dottorato sarà fondamentale chiarire quale è il senso che io, sulla base di quanto detto da altri of course, attribuisco a figure come il mediatore, l’interprete, l’interprete-mediatore. I tempi non sono ancora maturi per dirvi con certezza quale sarà la mia posizione, ma sembrano affermarsi in me tre diversi ruoli dai confini ancora molto offuscati.

Da una parte il mediatore, cioè la persona a sua volta immigrata, ma ormai inserita nella cultura ospite che fa da tramite tra due lingue e due culture. Questa è, dall’idea che mi sono fatta fino ad ora, la figura più frequente negli ospedali italiani e come tali si descrivono gli stessi interessati.

Dall’altra l’interprete, cioè una persona che ha seguito un corso professionalizzante, sia esso in interpretazione di conferenza o in community interpreting, sia a livello universitario che parauniversitario.

Nel mezzo l’interprete-mediatore, un binomio volutamente trainato dalla parola interprete. Perché se è vero che l’interprete-mediatore è per come la vedo io il punto di congiunzione tra le due figure prima descritte, è vero anche che questo binomio è probabilmente meglio raggiungibile se si viene da una formazione in interpretazione. Detta in altre parole, un interprete può acquisire le competenze di un mediatore, quelle che, in un certo qual modo spero di mettere in luce con la mia tesi, ma il viceversa non è necessariamente vero.

Quindi, alla luce delle letture fatte, urge una definizione di cosa io nella mia tesi intenderò per mediazione. Così come urge una definizione di cosa io intendo per cultura, sulla scia di quello che Danielle Londei, Professore straordinario di Lingua Francese presso la SSLMIT di Forlì e Vice Presidente dell’Alliance Française di Bologna e della Federazione della Alliance Française in Italia, fa nel suo contributo sulla mediazione diplomatica.

Urge poi, ma non così tanto visto che sono solo al primo anno, una decisione in merito alla struttura da dare al mio pensiero. Colpisce, infatti, sgranando uno dopo l’altro gli articoli di questo numero speciale, la diversa strutturazione del contributo di Hermine Penz. A prescindere dal contenuto, per altro molto interessante e vicino alle mie pospettive conversazionaliste, questo articolo mi ha colpita perché per così dire “mi ci ritrovavo”, mi suonava famigliare. Indovinate un po’? Alla fine ho scoperto che era una traduzione dall’inglese!

A riprova di quanto emerso nella lezione della Hornung della settimana scorsa, è proprio vero che ogni lingua ed ogni tradizione culturale organizzano le informazioni in maniera diversa. Se voglio essere letta, e capita, dovrò quindi comprendere per chi scrivo in prevalenza, e rivolgermi a questi “lettori target” nella maniera che loro si aspettano.

Senza però, mi auguro almeno, dovermi iscrivere ad un corso in medicina come ha fatto la Cambridge, perché altrimenti non ne vengo più fuori:)

PS
È bellissimo vedere come, petit à petit, sto entrando nell’argomento..vedere come certi nomi ricorrono, quasi famigliari, quasi a conferma del fatto che mi sto muovendo nella direzione giusta..Antonella Leoncini-Bartoli cita Antoine Berman, lo stesso citato da Nasi la settimana scorsa; similmente Hermine Penz cita Clyne, lo stesso citato dalla Hornung..e questi sono solo due dei tantissimi esempi..

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