Traduzione e Interpretazione

La Belgique c’est mon pays, c’est mon enfance

Natale a Bruxelles

Natale a Bruxelles

C’era una volta…una ragazza che viveva in un paese lontano. Ogni anno faceva però ritorno alla sua terra natia, che le si svelava poco a poco in tutta la sua ricchezza. Durante uno di questi ritorni in patria incappò in un famoso cantautore belga, con cui ben presto scoprì di avere molte cose in comune.

A cominciare da quel Plat Pays che entrambi amavano da lontano, facendo della distanza una condizione privilegiata anziché un limite. Difficile è, infatti, cogliere la bellezza di una realtà in cui si è invischiati. Molto più facile è prendere le distanze e guardare la propria terra, la propria infanzia, la propria vita da una prospettiva esterna, mettendo a fuoco ciò che più conta e ridimensionando ciò che è solo accessorio.

Fu così che la ragazza sentì il desiderio di dare un seguito a questo incontro, approfondendo la conoscenza di un iceberg che le si svelava solo in minima parte. La discesa negli abissi insondati di Jacques Brel si presentava in fondo come un’occasione per riscoprire anche se stessa e le sue radici.

Il post di oggi è il primo di una serie di appuntamenti con il Belgio e con la canzone di Jacques Brel.
É scritto alla vigilia della partenza per Bruxelles, dove festeggerò il Natale il famiglia, e vuole essere un tributo al Plat Pays in cui sono nata.

Un Belgio che vive più nei ricordi d’infanzia che non nell’esperienza vissuta. Un Belgio che scopro insieme a voi consapevole del fatto che dietro a qualsiasi percorso conoscitivo c’è sempre e comunque un Io che, gravido di parole, musiche ed esperienze altrui, partorisce la sua visione delle cose. Questo è il prezzo di una lettura e di un ascolto autentici che si fanno dialogo con l’uomo, il cantautore e il caleidoscopio di personaggi in cui di mano in mano si proietta.

Brel affermava di poter lasciare la canzone in qualunque momento, ma la scrittura no, non avrebbe potuto farne a meno. Sentiva l’urgenza di una scrittura che era sforzo, tensione e calore. Una scrittura a cui partecipava tutto il corpo, visto che come Victor Hugo scriveva da in piedi, e che rispondeva al bisogno di mettere ordine nel caos della sua esistenza.

Una scrittura come terapia, quindi, poiché come Virginia Woolf anche Brel si serviva dei suoi personaggi per prendere le distanze dal suo paese, dalla sua infanzia, da se stesso. Per questo li creava nei minimi dettagli, immaginava il loro vestiario, la loro fisionomia e tutta una serie di particolari che ancor oggi danno spessore a figure che non hanno che 3 minuti per raccontarsi.

E così, nel gioco delle parti, a ciascuno è assegnato un ruolo, che colpisce per quanto viene messo in scena e più ancora per quanto c’è di non recitato, non rappresentato, non detto. Perché in questo silenzio della canzone c’è un po’ Jacques e un po’ ciascuno di noi.

« Dessiner toute une petite idée dans un petit personnage qui est toujours un peu moi, c’est un peu tout le monde mais c’est surtout un peu moi, je crois » (2003: 11)

AAVV, Jacques Brel, le droit de rêver, Bruxelles, Fondation Internationale Jacques Brel, 2003

One Response to “La Belgique c’est mon pays, c’est mon enfance”

  1. Benjamin scrive:

    Bonjour Natacha, bien que je ne parle malheureusement pas Italien je tenais à te remercier pour ce bel hommage à la Belgique et à son plus grand artiste (selon moi) Jacques Brel. Merci également pour ta référence à mon blog. Je te souhaite la meilleure continuation ainsi que de joyeuses fêtes de fin d’année.

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