Traduzione e Interpretazione

Jacques Brel e la distanza rispetto alla sua infanzia

“Je suis ravi d’avoir eu une enfance morose. Ça doit être abominable d’avoir une enfance heureuse parce qu’après vraiment, c’est terrible…” [1]

Spesso ci si sente dire che l’infanzia è una fase fondamentale nella vita, poiché determina lo sviluppo successivo dell’uomo. Banalizzando l’opinione diffusa, chi ha avuto un’infanzia felice ha tutte le carte in regola per essere felice anche in seguito. Ora, quando ho sentito per la prima volta le sopraccitate parole di Brel, il piccolo universo delle mie certezze ha cominciato a sgretolarsi. È solo alcuni mesi dopo che ho realizzato cosa aveva cercato di dire.

Diversamente da quanto si crede, il dolore e la felicità hanno una natura molto simile. Non solo chi ha troppo sofferto durante l’infanzia ne porta i segni in futuro, ma anche chi ha troppo gioito. Questi due sentimenti estremi impediscono, infatti, all’adulto di liberarsi di una fase della quale rimane prigioniero.

Se Brel si rallegra di aver avuto un’infanzia cupa è perché sa che se fosse stata felice, lui avrebbe cercato per tutta la vita di ritrovare quella condizione originaria, il ché gli avrebbe impedito di afferrare le piccole gioie di ogni giorno. E così guarda al passato senza rimpianti, solo con la consapevolezza che il tempo in cui portava dei calzoncini corti e non aveva né baffi né barba è irrimediabilmente finito.

“Je ne regrette pas du tout le temps de l’enfance parce que je crois que ce n’est supportable qu’une fois. Je trouvais ça bien long. Et j’en parle maintenant parfois, enfin dans une chanson, mais pas du tout avec regret” [2]

La canzone in cui, senza rimpianti, Brel ripercorre le tappe della sua infanzia si intitola “Mon enfance”. Non è il solo testo che ruota su questa tematica, ma qui più che altrove il cantautore canta l’esplosione dell’infanzia, il momento in cui il muro del silenzio si è rotto, quando un mattino i suoni della vita hanno raggiunto l’ovattato universo borghese in cui era cresciuto. Brel ha lasciato quello spazio chiuso per fuggire verso l’alto. Simboli di questa ascesa sono il suo stare in piedi, il suo vivre debout e le ali con cui si è alzato in volo…

“Je volais je le jure
Je jure que je volais
Mon cœur ouvrait les bras…”
[3]

Da quel momento in avanti il suo cuore si è aperto alla vita reagendo a quell’esistenza che va

“De servante en servante…
Flânant de mort en mort
Et que le deuil habille”
[3]

Anche questa citazione, che è tratta sempre da Mon enfance, mette in evidenza lo scarto tra una fase di letargo e la rinascita ad una vita vera. L’adolescenza ha senz’altro costituito il punto di svolta dopo il quale ogni cosa è cambiata, fatta eccezione soltanto per quel coeur d’agneau che non ha mai smesso di amare e amare e amare ancora, per soddisfare quella abominable envie d’aimer che superava persino il pudore e gli schemi di un’educazione borghese. Brel amava ripetere che in generale la gente è mal educata…

“On est très mal élevé parce qu’on a beaucoup trop de pudeur et qu’on ose jamais plus dire aux gens qu’on les aime bien.” [4]

La mala educazione consiste nell’incapacità di comunicare agli altri il proprio amore, un’incapacità che Brel ha mirabilmente tentato di superare attraverso le sue canzoni. Lui stesso lo ha affermato nel 1960 prima di cominciare a cantare:

“Alors ce soir, je vais essayer d’en profiter pour vous dire que, finalement, je vous aime bien.” [4]

[1] Parole di Jacques Brel tratte da Jacques Brel, le droit de rêver, p.22
[2] Parole di Jacques Brel tratte da Jacques Brel, le droit de rêver, p.12
[3] Mon enfance, 1967
[4] Parole di Jacques Brel tratte da Jacques Brel, le droit de rêver, p.3

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