Traduzione e Interpretazione

Specchi comunicanti di F. Nasi

Quando leggo i libri di Franco Nasi mi ricordo chi sono. So bene che questo è un giudizio fortemente personale e che non faccio servizio di recensionista obiettiva nel dire ciò. Ma la lettura è ad oggi un’esperienza spesso individuale, legata alla storia di ciascuno e al momento preciso in cui viene fatta, quindi una certa dose di soggettività è inevitabile.

L’appena uscito Specchi comunicanti è inscindibile da una delle mie trasferte Modena – Savignano sul Rubicone, da una giornata in cui avevo come l’impressione che tutte le mie ricerche fossero wrong-headed, in cui sentivo che certe etichette disciplinari non mi corrispondono appieno. Mi è bastato leggere diligentemente la Prefazione, il Prologo e il capitolo II intitolato “Aidòs e responsabilità”, per far riaffiorare gli anni di liceo, quelli in cui il mio sguardo era a 360° e non vincolato ad una precisa direzione di ricerca. Quelli in cui ancora riuscivo a scorgere le travi, perché non ero ossessionata dalle pagliuzze di una questione. Quelli in cui la mia era “ammirazione” dei dati (dove il latino ad-mirari porta in sé, come scrive Nasi, l’azione di guardare con insistenza, stupore e rispetto), e non fredda osservazione scientifica. Quelli in cui dubitavo, e in questo senso mi sono forse ritrovata, che fosse possibile dimostrare alcunché nelle svariate sotto-discipline delle scienze umane.

Nelle materie umanistiche c’è ora un accanirsi ad utilizzare il metodo scientifico, insieme ad una terminologia estremamente tecnica e rigorosa, per dimostrare agli altri che il proprio lavoro è oggettivo, serio, replicabile. C’è una produzione industriale di idee e progetti dove il lavoro artigianale non sembra avere più diritto di cittadinanza, dove l’importante è rispettare certi dettami scientifici anche se poi il proprio lavoro è di una ripetitività e noiosità senza precedenti.

Il libro di Nasi ha il coraggio, per come lo leggo io, di andare in una direzione diversa. Di dire, riprendendo ciò che Hofstadter diceva sulla filosofia, che forse è illusorio riuscire a dimostrare qualcosa nel campo della traduzione letteraria, dove forse (l’hedging dell’autore è doveroso) “si può solo cercare di convincere le persone che si affacciano a questo campo di ricerca che le cose sono meno semplici di quanto in genere siamo portati a pensare, che tradurre un testo non è operazione meccanica e univoca, e che una traduzione porta con sé conseguenze poetiche, etiche e politiche non irrilevanti” (2010: 12).

Non ho letto interamente il libro, perché preferisco lasciare il resto per quando mi perderò di nuovo, per quando l’edificio delle mie ricerche tornerà a crollare e avrò bisogno di sapere chi sono per raccoglierne i cocci, e ricominciare. Questo è infatti il rollercoaster della ricerca, sempre accompagnata da quella che Schegloff definisce, nella sua mirabile introduzione alle Lectures di Sacks (1992), la vertigine dell’indeterminatezza. Una che alterna momenti di grande lucidità, dove le idee sono chiare e a portata di mano, a momenti di totale sconforto, dove i pensieri sono confusi e lontani, quasi oggetti onirici che inspiegabilmente non riusciamo ad afferrare. Ma basta poco perché tutto si faccia chiaro, basta una serata a casa di amici (come è stato in parte per Sacks) o un pranzo con i colleghi (come mi piace pensare sia stato per Nasi) perché l’intuizione arrivi, fresca di novità e al contempo gravida di anni in cui è stata lì, confusa, lontana e irraggiungibile.

Talvolta le persone, e le risposte, si incontrano anche nei libri, nel dialogo silenzioso che questi instaurano con uomini di ogni tempo. E a me piace pensare che Specchi comunicanti sia stata l’occasione per incontrare Max Weber (Nasi, 2010: 69), la cui definizione di “etica della convinzione” ed “etica della responsabilità” è stata la miccia di un flash of insight.

Non so ancora dove questo mi porterà, ma so per certo che anche questo libro di Nasi è arrivato al momento giusto. Così come era successo per la Malinconia del Traduttore e, in misura forse minore, per Poetiche in transito, che vi consiglio egualmente di leggere.

2 Responses to “Specchi comunicanti di F. Nasi”

  1. -nico- scrive:

    “Nelle materie umanistiche c’è ora un accanirsi ad utilizzare il metodo scientifico, insieme ad una terminologia estremamente tecnica e rigorosa, per dimostrare agli altri che il proprio lavoro è oggettivo, serio, replicabile. C’è una produzione industriale di idee e progetti dove il lavoro artigianale non sembra avere più diritto di cittadinanza, dove l’importante è rispettare certi dettami scientifici anche se poi il proprio lavoro è di una ripetitività e noiosità senza precedenti.”.

    BRAVA, CACCHIO. ESATTO.

  2. -nico- scrive:

    E aggiungo, fra l’altro, che il tuo post, come per te questo libro, è arrivato in una giornata in cui ne avevo un gran bisogno, e tu sicuramente capisci perchè.
    baci!
    N

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