Traduzione e Interpretazione

Lezioni 30 aprile: Giordani-Gavioli-Cambridge e altro ancora

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Jan Cambridge

Eccomi sul mio solito treno Modena-Savignano sul Rubicone pronta a raccontarvi cosa ha riempito il silenzio denso di questa settimana di delirio. Dato che il dominio di questo blog è dailynterpreter, eccovi un po’ di dailynatacha.

Lunedì e martedì un fantastico convegno di Laringostroboscopia con tanto di interventi dal vivo alle corde vocali. Non ho ancora avuto modo di fare un debriefing e di chiedere alla collega se posso condividere il nostro mastodontico glossario a quattro mani. Datemi qualche giorno e vi caricherò il post con i dettagli sulla preparazione, qualche aneddoto sulla simultanea e il risultato it-en delle nostre fatiche.

Mercoledì ho avuto poi il piacere di accogliere Jan Cambridge a Forlì, dove è stata invitata per parlare agli studenti del community interpreting in the UK. Oltre alla fortuna di assistere alla lezione, ho avuto quella di ritagliarmi qualche spazio privilegiato con Jan e di condividere l’entusiasmo per un PhD che, per quanto in fasi molto diverse della nostra vita, ci accomuna.

Giovedì due bellissime lezioni del ciclo di dottorato all’università di Modena:

10.00-12.00: Demetrio Giordani, La trasmissione del sapere nell’islam tradizionale
14.00-17.00: Laura Gavioli (con la partecipazione di Jan Cambridge), La mediazione dialogica

Andando con ordine, vi racconto anzitutto la sorprendente lezione di questa mattina.

Complice il ritardo del treno (oggi le ferrovie italiane sono in preda al delirio) e uno scambio di aule, sono entrata nella classe del Professor Giordani con più di venti minuti di ritardo. Il che non ha fatto altro che esacerbare il senso di spaesamento che avrei comunque sentito, credo, assistendo alla lezione sin dall’inizio.

Nomi, date, riferimenti storici di cui non capivo assolutamente il senso che ho diligentemente trascritto tra i miei appunti dicendomi che, prima o poi, avrei dato un senso al tutto.

Prendevo appunti e annuivo col capo come se stessi capendo quello che mi veniva detto. Si tratta di un atteggiamento a cui si diventa piano piano avvezzi dal momento che, spesso in occasione dei convegni, ci si trova a conversare con personaggi di ambiti molto specialistici su argomenti che non sempre ci sono affini. In quei casi, almeno, c’è una preparazione terminologica e non solo all’argomento, quindi non si è dei pesci fuor d’acqua.

Qui era diverso. Sentivo parlare di arabo e in arabo e restavo completamente tagliata fuori. Una sensazione strana, ma piacevole, per chi per lavoro aiuta chi è tagliato fuori dalla comunicazione ad esprimersi in un’altra lingua. Se non altro mi ha piombata per una volta tanto nei panni delle persone per le quali lavoro, almeno in contesti dialogici.

Tornando alla lezione di Giordani, ammetto prima ancora di darvi qualche informazione, che sono profondamente ignorante in materia di islam e che nei miei appunti potrebbero esserci errori di comprensione e di spelling.

Questo è quello che ho capito oggi.

HADITH = discorso (e, per estensione, scienza delle testimonianze della vita del profeta). Trattasi di scritti che si sviluppano parallelamente al Corano e che similmente vengono imparati a memoria dai musulmani.
http://www.iiu.edu.my/deed/hadith/bukhari/

MATN = carico (cioè il contenuto degli hadith)

ISNAD = catena di trasmettitori. Questo perché gli hadith sono stati tramandati prima oralmente e solo in un secondo momento trascritti. Quando li si legge, sempre iniziano con “X ha sentito da Y, che ha sentito da Z, che ha sentito dire dal profeta”, con catene di sentito dire, di diversa come vedremo affidabilità, che contengono a volte anche 10-20 anelli.

MUSANNAF = hadith organizzati per argomenti

MUSNAD = hadith raccolti per catena di trasmissione (le catene possono essere sane, buone e deboli)

I due Musannaf più famosi, e più “sani”, sono quelli di AL BUKHARI e di MUSLIM

FATWA = parere giuridico, espressione dell’IMAM di una certa scuola giuridica

IJTIHAD = lo sforzo interpretativo (non vi ricorda nulla questa parola?)

Ora, potreste chiedermi, ma a te che importa tutto questo?

Bè. Innanzitutto sono parole che spesso leggo nei giornali senza capirne il senso. Non dico che ora è tutto chiaro, ma se non altro ho varcato il primo muro e ho colto la logica e la complessità che sottende certi comportamenti.

So cos’è una Fatwa, la stessa con cui anni fa Salman Rushdie è stato condannato dall’Imam Khomeini, la massima autorità Sciita, se ho ben capito, del tempo.

Ho sentito la testimonianza di due arabi, uomo e donna, che mi hanno spiegato come il Corano e gli hadith siano parte della loro quotidianità. Pensate che in media un musulmano conosce almeno 3/30 del Corano a memoria. Il ragazzo che era a lezione oggi ne conosce circa 7/30 e ha recitato alcuni brani per noi. Il che, ancora una volta, potrebbe sollevare l’interrogativo: ma tu che hai a che fare con tutto questo?

E io ancora rispondo che ne è valsa la pena, che tutto mi affascina (o quasi) e che è inutile parlare di apertura all’altro se poi si fuggono le occasioni per capire qualcosa di un altro con cui coesistiamo. E devo ammettere che la lezione di oggi mi ha fatto anche molto riflettere sul nostro essere cristiani, cattolici, quando nella maggior parte dei casi nemmeno si conoscono i testi sacri. Non dico certo che dovremmo impararli a memoria, come fanno i musulmani da quando sono bambini, ma almeno forse leggere il fondamento di quella che diciamo essere la nostra religione.

Food for thought.

La lezione di Laura Gavioli, e di Jan Cambridge, era decisamente più “in focus” rispetto alle mie ricerche. Ordinaria presso l’università di Modena e Reggio Emilia, fautrice insieme a Claudio Baraldi, del LAIM, infaticabile ricercatrice sulla mediazione dialogica e mia tutor :) , Laura ci ha fatti entrare rapidamente nel merito, proponendoci delle trascrizioni tratte dai dati raccolti negli ultimi anni insieme a Baraldi e Iervese.

Una breve panoramica teorica, parlando a braccio ma appoggiandosi su citazioni di Ochs e Schieffelin, Rogers, Coulehan, Conroy, Jefferson & Lee, Bolden e Davidson, poi dritto ai dati. Quelli da cui tanto si può capire di noi, delle nostre conversazioni, dell’affettività con cui carichiamo le nostre parole.

Proprio l’affectivity è stato il comun denominatore della lezione. Alla ricerca di affectivity abbiamo analizzato scambi tra medico e paziente, tra medico e mediatore, tra imputato e interprete. Comune a tutti questi contesti è una co-costruzione del significato e un coordinamento del discorso da parte del mediatore che non si limita a passare il messaggio, ma organizza gli scambi e contribuisce o ostacola la comunicazione. Per quanto possa infatti sembrare paradossale il mediatore, che dovrebbe facilitare la comunicazione, a volte esclude il paziente o il medico da certi scambi a due (a tre l’affettività è molto più difficile da gestire, e non solo quando c’è di mezzo un interprete) e quindi rende lo scambio in realtà più problematico.

La Cambridge è intervenuta ogni tanto per sostenere quello che la Gavioli stava dicendo. Lo faceva dall’alto della sua esperienza sul campo, fornendo esempi concreti di come l’interprete si trovi a gestire situazioni difficili (non solo termini difficili). Situazioni in cui si rende necessario interrompere, suggerire all’uno o all’altro partecipante di dire o di chiedere qualcosa che sia culturalmente rilevante, fare un po’ di “semaphore” per dirlo con la Cambridge, vale a dire gesti per interrompere [e meglio coordinare l’interazione – dico io – da partecipante attivo all’interazione].

In un secondo momento la Cambridge ci ha poi presentato il suo Big Project, così come lo chiama lei: Interpreter output in “Talking” therapies: towards a methodology for good practice.

Ci ha spiegato le sue metodologie e le sue difficoltà nello scrivere una Literature Review che corrispondesse ai dettami della professione medica. Se voglio farmi ascoltare dai medici – ha sottolineato la Cambridge – devo parlare e scrivere come loro, e possibilmente pubblicare in riviste dove loro possano incappare nel mio articolo. Per questo si è iscritta alla Medical School di Warwick, superando le ovvie difficoltà di entrare in un mondo ed un linguaggio che non le apparteneva ma che piano piano comincia a digerire. Se non altro a giudicare dal fatto che la sua Literature Review è stata valutata positivamente.

Ora, aldilà di una certa debolezza teorica sicuramente compensata dalla professionalità acquisita (la Cambridge ha un DPSI [Diploma in Public Service Interpreting] Level 6 il che significa che è al top delle qualificazioni che un public service interpreter può avere in UK), e di una certa diversità di vedute (lei adotta il modello imparziale di interpretazione mentre io sono, se non altro in certi contesti, per il community model), la Cambridge è stata un’incontro molto stimolante e motivante.

Anche solo per il fatto che, vedere una donna in età matura con 30 anni di esperienza alle spalle che inizia un PhD, e condividere per due giorni l’entusiasmo con cui porta avanti questo Big Project, mi ha dato ancora più voglia di continuare su questa strada.

Perché fino a che c’è voglia di fare ricerca, fino a che c’è il desiderio di imparare e di superarsi, fino a che la curiosità spinge aldilà dei propri limiti, si rimane giovani e attivi. Rita Levi Montalcini docet :)

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