Traduzione e Interpretazione

Lezioni 13 marzo: Contini-Calabrese

Locandina dell'Evento

Locandina dell'evento

09.30-12.30: Annamaria Contini, Epistemologia delle scienze umane: problemi, orientamenti e metodologie
15.00-16.00: Stefano Calabrese, Incontro con i dottorandi
16.00: 17.30: Stefano Calabrese, Introduzione al Global Novel

Eccomi al consueto appuntamento con i colleghi assenti (pochi a dire il vero) e con me stessa.

Di ritorno da Reggio Emilia approfitto delle solite due ore di treno per raccontarvi cosa abbiamo fatto.

Devo dire fin dall’inizio che è stata una gran giornata. Vuoi per i contenuti trasmessi, vuoi per il carisma di Calabrese, vuoi per quel rapporto di amicizia, stima e collaborazione che si sta creando tra noi dottorandi.

La mattinata è cominciata con la Professoressa Contini, che riprendendo le fila di un discorso iniziato la lezione scorsa, ha introdotto il libro di Davide Sarti intitolato “Epistemologia delle scienze sociali” e passato in rassegna tre stili epistemologici:

1) Naturalistico o nosologico (Comte, Mill)
2) Individualistico o idiografico (Windelband, Wittgenstein, Husserl)
3) Ermeneutico (Schleiermacher, Dilthey, Gadamer, Heidegger)

Senza nulla togliere ai primi due stili, ammetto che la parte dedicata all’ermeneutica è quella che mi ha interessata di più. Mi sembrava di sentir parlare il mitico Giardinazzo (professore di ermeneutica alla SSLMIT di Forlì), quando la Contini parlava di Gadamer, della sua critica all’arte vista come fatto artistico segregato in una zona asettica della vita.

Un Gadamer che ha attaccato il Kant della critica del giudizio, quello che sancendo l’autonomia dell’esperienza estetica ha screditato ogni conoscenza diversa da quella della scienza.

Il Gadamer che ha parlato di coscienza estetica, che ha criticato i musei e la loro de contestualizzazione dell’opera.

Il Gadamer che ha recuperato Hegel, per il quale l’arte era un modo di portare manifestazione alla realtà, e Heidegger, che vedeva l’arte come incontro con la verità.

Il Gadamer di cui è figlia la circolarità di una comprensione che va dalle parti al tutto e dal tutto alla parte, una comprensione che è fusione di due orizzonti: quello del testo e quello dell’interprete.

Mi sembra di essere ancora a quelle lezioni di Giardinazzo, quelle che hanno felicemente segnato la mia triennale e stimolato il mio atto interpretativo attraverso testi, canzoni, film.

Lezioni che hanno rappresentato una boccata d’aria nell’ambiente spesso da caserma della SSLMIT, dove un professore per la prima volta era interessato a quello che ciascuno di noi leggeva nel testo, al crocevia tra estraneità e familiarità, lì dove si realizza ogni comprensione e dove si espande lo spazio comunicativo.

Lezioni che, paradossalmente, mi hanno fatta crescere come interprete e traduttrice forse molto più di certi corsi di traduzione. Lezioni che, prima di altre, mi hanno fatto staccare dal testo, dal rischio di cedere al parola per parola per sondare la comunicazione silenziosa che esiste tra una pagina e il suo lettore.

Quindi grazie alla Contini per aver risvegliato questi ricordi e per aver delineato un quadro chiaro di quella che è diventata la koinè filosofica degli anni 80. Un’ermeneutica dalla quale non si può prescindere, qual che sia il vostro orientamento. E ve lo dice una che, per certi versi, ha un approccio in parte nosologico alla sua ricerca di dottorato.

Ma il grazie più grande va al Professor Calabrese, che si è ritagliato prima un’ora di tempo per darci informazioni pratiche sul nostro dottorato e ci ha catturati poi con la sua introduzione sul Global Novel.

Ci ha catturati con la sua chiarezza espositiva, con il suo italiano alto ma non discriminante, con la strutturazione di un discorso che lasciava spazio a digressioni ma sempre riprendeva il filo.

Come spesso mi capita, quando ascolto un bravo oratore, mentalmente lo interpretavo in inglese e francese, rallegrandomi di avere di fronte il relatore dei sogni, quello che solo di rado capita di tradurre in cabina. L’ultimo, mesi fa ormai, è stato Jeremy Rifkin. Chissà quale sarà il prossimo.

Toile de fond di questo incontro era la bellissima Aula Magna del Dipartimento di scienze sociali, cognitive e qualitative dell’Università di Reggio Emilia. Nessun PowerPoint, nessun handout.

Solo una voce magistralmente modulata e sempre comunicativa, e uno sguardo che, senza concitazione, si soffermava su ciascuno dei presenti.

E contenuto, tanto contenuto che per anni mi è mancato nella tecnicità della scuola interpreti (eccezion fatta per il succitato Giardinazzo).

Il professor Calabrese ha articolato il suo discorso in maniera circolare.

Ha iniziato sottolineando come pensare, vedere e concepire siano strettamente correlati e come il linguaggio visivo si sia riallacciato allo studio del linguaggio verbale, determinando un forte connubio tra parole e immagini.

Hai poi giustificato questa sua affermazione soffermandosi sul postmoderno e sulle sue due caratteristiche fondamentali:

1) Metanarratività

Intesa come uno squilibrio profondo tra il discorso di me che racconto e la storia che racconto, una magia della narrazione che sta proprio tra queste due cose.
[In fondo, forse, sono una postmoderna anche io. Lo sono ogni volta che parlo del mio rapporto con le parole e la pagina bianca, ogni volta che vi racconto le mie esperienze di scrittura estrema sulla tratta Modena-Savignano Sul Rubicone :) ]
Calvino, Perrec, Eco sono solo alcuni dei rappresentanti di questa metanarratività. Anche se Eco rappresenta un caso emblematico, nel senso che pur nascendo come postmoderno, il successo di Eco negli anni 80 determina la fine del romanzo post moderno e l’inizio di storie a forte trazione aneddotica.
Le rappresentano, ad esempio, autori come Salman Rushdie e Niccolò Ammaniti. Autori in cui riconoscibile è una retorica accrescitiva, un’ipotiposi che ingigantisce le cose e le rende molto più evidenti, provocando un innalzamento dell’indice di visibilità nella retorica del testo.

2) Focalizzazioni interne multiple (del narratore)
Le cose sono viste palpabilmente da chi le vive, come se narratore e personaggi si passassero una telecamera. Non c’è più, quindi, il format tipico della descrizione, ma una descrizione disseminata in una narrazione che si vede di più.
E c’è Remediation, la reincarnazione semiotica o intersemiosi di un testo nell’altro, un triturare di linguaggi che azzera le differenze tradizionali e che è emblematizzato dal digitale.
Già succedeva, in passato, che un testo letterario fosse trasposto in opera teatrale, prima, in film poi. Ma ora questo fenomeno è portato all’estremo e investe campi un tempo impensati. Il romanzo della globalizzazione è un romanzo a forte lubrificazione intermediale, uno che preferisce l’occhiata superficiale (glance) allo sguardo analitico (gaze) del lettore di un tempo.
Ora tutto è veloce, e mercificato. Basta pensare ai libri della Rowling e a tutto quello che hanno portato (dal film, ai gadget, alla bacchetta magica di Harry Potter).
Ma prima della Rowling ci sono stati molti altri, come Michel Houellebecq, Saint-Exupéry, Apollinaire.
E dopo la Rowling c’è Camilleri con il suo Commissario Montalbano. Un personaggio di buona fattura che ha acquisito in TV i tratti di Luca Zingaretti, attribuendo al medium il ruolo di selettore semiotico.
E c’è anche Welsh, in cui la Remediation, grande madre del Graphic Novel, e l’ipotiposi regnano sovrane.

Calabrese ha concluso il suo discorso riaffermando come pensare, vedere e concepire siano correlati. Un’affermazione che questa volta era piena di quanto è venuto prima, di nomi e opere che hanno un’eco nella nostra vita, di fenomeni che ci circondano e di cambiamenti che ci accompagnano.

Un’affermazione che restituisce il senso di un regime perfusivo che si contrappone al regime separativo della modernità. Ciò che prima era visto in autonomia viene mostrato in modo sovrapposto e il linguaggio visivo perde il suo valore ancillare per diventare protagonista, al pari del linguaggio verbale.

E proprio in questo bacino multimediale nasce il Graphic Novel, di cui però purtroppo non posso raccontarvi nulla perché avevo bisogno di prendere il treno per casa.

Visione laterale della vita, come diceva proprio Giardinazzo, che mi ha comunque permesso di fare memoria e di condividere, con gli assenti, la bella giornata di oggi.

Alla prossima settimana!

Leave a Reply